Associazione Giacomo Sintini alla maratona di New York 2018

Il 4 novembre di quest’anno, il logo dell’Associazione Giacomo Sintini campeggerà sulla divisa di un corridore della Maratona di New York. Il merito è di Maurizio Romeo e del suo progetto “Un passo alla volta per l’Associazione Giacomo Sintini”.

 

INTERVISTA A MAURIZIO ROMEO

Come è nata la tua passione per la corsa?
«La mia passione per la corsa nasce da molto lontano, e quasi per caso. Ero in seconda media e ho partecipato prima alla gara di corsa campestre della classe (vinta), poi a quella della scuola (vinta) e siamo andati ai campionati provinciali, dove mi sono classificato secondo. L’anno dopo mi sono classificato terzo alla fase provinciale e con la squadra ci siamo qualificati per la fase finale dei Giochi della gioventù (un’esperienza bellissima). La corsa l’ho sempre avuta nelle gambe, anche quando giocavo a calcio. Quando facevamo la preparazione, il preparatore mi diceva che avevo le fibre rosse dei centrocampisti per la resistenza e le fibre bianche degli attaccanti per la velocità, e mi chiedeva che cosa ci facessi in porta! E’ una passione lasciata con il tempo, poi ritrovata nel 2016,  perché ho deciso di partecipare alla Maratona di Roma per festeggiare la mia vittoria sul linfoma avvenuta dieci anni prima. Associando quella che è stata la prima raccolta fondi fatta con l’associazione, perché non volevo che non fosse una partecipazione fine a se stessa, non solo solidale, ma anche e soprattutto che portasse un messaggio di speranza: raccontare come, nel giro di qualche anno, si possa arrivare a realizzate i propri sogni anche se anni prima si è ricevuta questa brutta notizia… questo pugno nello stomaco… di dover affrontare una brutta malattia.

Così è ritornata questa passione, che poi è continuata. Ha coinvolto prima mio cugino, che era già un maratoneta. E adesso il gruppo si è pian piano allargato. Prima un gruppo di amici miei e di mio cugino, e adesso anche altre persone conosciute via Internet che vogliono far parte del gruppo “Un passo alla volta per l’Associazione Giacomo Sintini”».

Quali maratone ricordi con più piacere?
«La maratona che ricordo con più favore è sicuramente la prima, perché è stata emozionante per tante ragioni. Prima di tutto per il suo significato. E anche perché è stato il primo “viaggio” all’interno di questo mondo della maratona, in cui soffri e ti aiuti. E’ una metafora della vita, ma anche della malattia. Io l’ho vissuta con Raffaele, il mio pacer, che mi ha guidato, mi ha dato il passo, mi ha accompagnato per tutta la maratona, mi ha portato fino in fondo… e mi ha aiutato, mi ha spronato, nei momenti di difficoltà, mi ha sostenuto e mi ha sospinto. Così come succede anche nella malattia. Poi per l’emozione di arrivare al traguardo con mio figlio, che allora aveva un anno e mezzo, in braccio. Un’emozione fortissima. E questa (maratona) la porterò sempre nel cuore.

E poi, sportivamente, anche l’ultima, che è stata quella di Firenze, perché è stata la prima volta in cui sono riuscito a scendere sotto le 4 ore. Era un obiettivo impensabile, soprattutto un anno e mezzo prima, quando ho corso la prima (maratona) in 4 ore e 35 minuti».

In quale occasione hai conosciuto Giacomo?
«Ho conosciuto Jack soprattutto grazie ai social. Poi un comune amico, Alessandro Antinelli, mi ha raccontato meglio la sua storia. E così ho pensato di contattarlo su Twitter. Abbiamo chiacchierato via e-mail nei primi tempi. Poi con il tempo ci siamo conosciuti di più. Ed è stato semplice trovarsi, perché come mi ha scritto lui -e mi ricorderò sempre questa frase- “Noi siamo fratelli, per quello che abbiamo vissuto”. Ci si sente veramente molto vicini quando vivi delle sensazioni simili. Quando leggevo il libro di Jack andando in ufficio, arrivavo certe volte con gli occhi gonfi di lacrime, un po’ perché la storia ti toccava sul vivo, un po’ perché rivivevo certe emozioni. Sono sensazioni che chi ha passato qualcosa di simile conosce molto bene. E con Jack ci siamo trovati subito. E’ stata veramente un’amicizia a prima vista. Anche se non abbiamo un rapporto strettissimo, per me è un fratello».

Che cosa ti ha colpito maggiormente di lui e dell’attività dell’associazione?
«Le cose che mi hanno colpito di Jack sono fondamentalmente due: la grandissima umanità, il bellissimo modo che ha di rapportarsi con le persone, e il grande carisma, la grande forza che ti riesce a trasmettere con le sue parole e con il suo esempio.

Quando stavo cercando, nel 2016, a chi fare una donazione, trovarsi con Jack è stato semplice. E’ bastata una telefonata, una chiacchierata, e l’idea di poter fare qualcosa insieme è nata lì. Poi abbiamo avuto modo di conoscerci di persona nel settembre del 2016 per la Forza e coraggio challenge e lì abbiamo pensato di fare qualcosa per l’ospedale che mi ha curato: siamo riusciti a raccogliere oltre 3.600 euro che doneremo fra poco all’ospedale “San Martino” di Genova.

E’ nato un bellissimo rapporto. Conoscendo Jack, Alessia, Sara e tutte le persone dell’associazione ho avuto modo di capire davvero che è una grande famiglia. E allora, come si fa con una famiglia, è stato bello fare qualcosa assieme, naturale. Poi Jack ti travolge, ti porta davvero a superare ogni tuo limite. Con Jack sei sicuro che riuscirai a fare quello che vuoi.

Ce l’abbiamo fatta, ma sono convinto che il meglio debba ancora arrivare. Abbiamo ancora altri progetti da portare avanti nei prossimi mesi».

Quando hai cominciato a pensare alla divisa con il logo dell’associazione?
«Direi subito, nel momento in cui abbiamo deciso di fare la raccolta fondi per i progetti dell’associazione. Ho creduto fosse giusto e importante che il logo dell’associazione fosse sulla mia maglia. E ho pensato che fosse fondamentale portare i colori e il messaggio dell’associazione sulle strade. Un modo per ringraziare l’associazione di avermi dato la possibilità di diventare un ambasciatore del suo messaggio. E così sono nate le prime tre divise.

Un ragazzo di Lecce che ha voluto la nostra divisa mi ha scritto “Spero di esserne degno. Voglio portare il messaggio dell’associazione anche a Lecce e trasmettere questo messaggio di positività”. Portare il logo dell’associazione sulla maglia e il fatto che altri lo possano portare è una cosa che mi rende orgoglioso. E’ bello poter aiutare trasmettendo la speranza e la serietà del lavoro dell’associazione anche con queste piccole cose.

Anche quando ho avuto modo di partecipare alla trasmissione televisiva Oltre il limite su Italia 1, ho voluto che fosse reso visibile. Quando mi è stato chiesto di dare il testimone alla persona che avrebbe corso con me -combinazione, era una pallavolista, Veronica Angelone- non ci ho pensato neanche un attimo: doveva essere il braccialetto dell’associazione!».

http://www.unpassoallavolta.eu

12 marzo 2018

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